A guerra finita, i combattenti, dopo avere vissuto innumerevoli sacrifici, rischi, fatiche, terribili esperienze, tornano finalmente a casa con la speranza di potere ritrovare la vita di prima, ritornare alla quotidianità, recuperare la serenità nella vita di tutti i giorni, con la consapevolezza di avere contribuito all’unificazione della Patria.
Trovano invece scioperi e disordini di piazza; disprezzo, derisione, ostilità, da una parte della popolazione ma soprattutto l’ostracismo di alcuni partiti politici. Trovano la negazione ed il rifiuto di quei valori per i quali hanno combattuto e sofferto, e per i quali tanti loro compagni hanno sacrificato la vita.
In questo clima, alcuni reduci alpini cominciano a frequentarsi regolarmente a Milano e si fa largo l’idea di costituire un gruppo riservato a quanti hanno militato, durante la guerra, nei reparti alpini. Successivamente, grazie al contributo del Cap. Andreoletti, si comincia a parlare di costituire una “grande famiglia alpina”, non riservata ai soli reduci ma estendendo la partecipazione a tutti coloro che avevano già militato negli alpini, ed anche a quelli che sarebbero stati chiamati successivamente nella specialità, così da garantire una continuità al sodalizio.
Con queste premesse nasce nel luglio del 1919 l’Associazione Nazionale Alpini. Lo Statuto che successivamente sarà approvato dalla prima assemblea dei soci, codificherà gli scopi, primariamente morali, dell’Associazione.
Significativo dello spirito degli alpini di allora è l’episodio della bandiera. Al balcone del locale sede delle riunioni, sotto la galleria in piazza Duomo a Milano, era perennemente esposta una Bandiera Tricolore che scendeva a pochi metri da terra; poiché le manifestazioni si concludevano sempre in questa piazza, la presenza del Tricolore suonava come provocazione per i dimostranti; la Pubblica Sicurezza, pertanto, piuttosto che controllare i facinorosi, ingiunse all’A.N.A. di ritirarlo. Gli alpini risposero all’ingiunzione costituendo dei turni di guardia, anche notturni, a difesa della Bandiera. Nella giornata del 4 novembre, primo anniversario della Vittoria, la contestazione giunse al culmine; i dimostranti presero a sbeffeggiare i reduci, ad insultarli, a strappare le loro onorificenze, bruciarono le bandiere che riuscivano ad agguantare, per cui il Prefetto ordinò di ritirarle da tutti i pubblici uffici e naturalmente lo stesso ordine venne comunicato agli alpini, che erano nella sede per consumare un rancio. Questi, in tutto una cinquantina, si trincerarono nei locali e dalle finestre rispondevano alle grida ed agli insulti dei dimostranti, che dal marciapiede inveivano contro di loro; ci fu un tentativo di scalata alla sede, per poco non si venne alle mani ma alla fine la folla si ritirò, gli alpini avevano vinto la loro battaglia a difesa del Tricolore, la loro fu l’unica Bandiera a non essere ammainata in quel giorno e nella notte diedero vita ad una contromanifestazione sotto le volte della galleria facendola risuonare di canti e portando in trionfo il Tricolore.
Il pensiero di Padre Giulio Bevilacqua, espresso nel discorso tenuto sul monte Ortigara, interpreta mirabilmente i sentimenti dei reduci, quegli stessi sentimenti che porteranno a dare vita alla nostra sezione bresciana. La prima adunata nazionale degli alpini (Monte Ortigara, 5-7 settembre 1920)
Il primo convegno sull’Ortigara
Il Convegno sulla vetta dell’Ortigara era stato previsto per 400 soci della neonata Associazione Nazionale Alpini. La colonna preceduta dalla fanfara del Battaglione alpini “Belluno” partì da Grigno e in 5 ore raggiunge Barricate. Da qui a Campo Magro, dopo una sosta venne raggiunto l’accampamento. Qui, dopo aver dormito nelle tende con paglia e coperte, i convenuti partirono per al vetta dell’Ortigara dove trovarono oltre un migliaio e mezzo di persone giunte da ogni parte del Trentino e del Veneto, rappresentanze, vecchi combattenti, semplici montanari riuniti per celebrare con l’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.) il sacro rito.
La cima dell’Ortigara era popolata da una folla addensata ai vessilli. E questo fu per L’A.N.A. il vero successo dell’adunata, sanzionato dall’intervento spontaneo e caloroso dei valligiani.
Doveva sorgere sulla vetta una colonna mozza con la scritta “Per non dimenticare”, ma il monumento non poté essere solennemente scoperto perché mancava il basamento.
Tuttavia la colonna era stata puntualmente e faticosamente trasportata fin lassù. Sul posto venne celebrata al messa e il cappellano militare padre Giulio Bevilacqua parlò con commossa eloquenza rievocando il cruento sacrificio di 18 Battaglioni alpini e di 15 compagnie mitragliatrici che operarono durante la Grande Guerra (1915-1918). Nella serata del 6 settembre i partecipanti al raduno raggiunsero Trento dove ricevettero affettuose e calde accoglienza.
Il 7 settembre, composto un corteo, letteralmente sotto una pioggia di fiori, gli Alpini salirono al Castello del Buonconsiglio dove resero omaggio alla fossa di Cesare Battisti. Nel palazzo delle scuole venne poi tenuto il congresso dell’Associazione.
Stimolati dal discorso di Padre Bevilacqua, gli alpini bresciani, già iscritti alla sede centrale, decidono di fondare anche a Brescia, come già avvenuto in altre città, la locale Sezione dell’Associazione.Si arriva così al 14 novembre 1920, giorno in cui ufficialmente nasce la Sezione di Brescia, che ha competenza su tutta la provincia.
La Sezione, mentre organizza la sua attività nel rispetto dello statuto, ripercorre anche la strada già precedentemente tracciata delle “Società di mutuo soccorso” che gli alpini piemontesi, pur con diverse denominazioni, avevano fondato fin dal 1882, come avveniva del resto in quegli anni fra appartenenti a diverse categorie sociali.
Già nella seduta del 19 novembre si suggerisce di creare una struttura di medici e legali per assistere il “soldato”, definizione che fa riferimento agli alpini non abbienti, per quanto allora fossero la stragrande maggioranza.
Albori e prime attività della Sezione A.N.A. di Brescia
Nel 1924, a seguito dell’inondazione del Gleno in Val di Scalve, inondazione che poi interesserà anche la media e bassa Valle Camonica, si avvia una sottoscrizione per la raccolta di fondi per l’acquisto di mobilio, attrezzi da lavoro e materiale di prima necessità, da destinare alle famiglie, dopo averne verificato la reale esigenza.
La Sezione si interessa anche dell’assistenza ai figli e nipoti di alpini, bisognosi di cure montane e comincia ad ospitarli, a sue spese, in una casa presa in affitto dal Comune di Bovegno nella località di Irma; a questa struttura viene dato fin da subito il nome di “Casa de l’Alpino”.Nel 1933, prospettandosi difficoltà nel rinnovo del contratto d’affitto della struttura, si comincia a pensare all’acquisto di uno stabile da ristrutturare o ad una costruzione ex novo; la decisione all’unanimità durante il Consiglio del 5 luglio, è per una costruzione nuova che risponda a requisiti di comodità, praticità con prospettiva di adattabilità nel tempo.
Dopo una serie di verifiche e contatti con vari Comuni che si offrono per ospitare sul loro territorio la costruenda casa, Zone, Bovegno, Tavernole, Lodrino, finalmente nel febbraio del 1938 si definiscono, con il Comune di Bovegno, le pratiche per la donazione del terreno.Il 19 giugno dello stesso anno, con una cerimonia specifica all’interno dell’Adunata sezionale, viene posata la prima pietra alla presenza dell’Eccellenza Manaresi, Comandante del “X° Reggimento Alpini”, tale era infatti la denominazione ufficiale dell’Associazione dal 1937, mentre prima tale definizione era usata come sinonimo.Il 20 ottobre del 1939 la casa risulta terminata e si pensa all’arredo, recuperando anche quello della precedente struttura; nel 1940 non può essere aperta per disposizioni a livello nazionale relative agli Enti di beneficenza e si giunge al 1941 quando finalmente la “Casa de l’Alpino “ di Irma può ospitare i figli e nipoti degli alpini, che necessitano di cure montane.( Va rilevato che negli anni dal 1935 al 1939, mentre si lavora per costituire il fondo per la costruzione della nuova casa e quindi si tende a spendere il meno possibile, tuttavia l’assistenza ai bambini bisognosi di cure montane ed anche marine non si interrompe, perché gli stessi vengono inviati in colonie gestite da altri Enti ).
Il secondo dopoguerra
La seconda guerra mondiale appena conclusa, aveva lasciato in eredità la distruzione materiale e morale del paese: in questo ambiente, già all’indomani della liberazione, anche a Brescia gli alpini sono in prima fila, impegnati nella ricostruzione: lo stesso Comando Alleato, nella persona del comandante il canadese Col Robinson, individua nella rinata Associazione Nazionale Alpini, guidata allora da Giuseppe Vignola, uno strumento affidabile ed efficace per riportare ordine e fiducia nella società prostrata dalla terribile esperienza; il rapporto di reciproca stima e rispetto porterà questo ufficiale alleato a ricevere sul M. Guglielmo il 12 settembre 1945, nel primo raduno dopo la fine delle ostilità, la tessera di “alpino ad Honorem”.
Nel 1948, le bandiere dei reggimenti della gloriosa Divisione Tridentina, schierati in Piazza Duomo a Brescia vengono decorati di medaglia d’oro per i fatti d’arme sul fronte russo; da quel giorno si crea un inscindibile legame formato dal trinomio: Brescia, Nikolajewka e Tridentina, tra una terra da sempre culla di alpini e che ha dato tanti suoi figli alla Divisione che compì il miracolo ed una anonima località della sconfinata steppa, da quel giorno divenuta uno dei nomi più fulgidi dell’epopea alpina; un legame che da allora vede ogni anno in gennaio ritrovarsi a Brescia i reduci dal fronte russo, un legame che si è sublimato in occasione del 40° anniversario della battaglia, quando gli alpini bresciani inaugurano la Scuola per spastici e miodistrofici, dedicandola appunto a quell’episodio ed a quanti vi si immolarono. L’opera è stata costruita grazie all’intuito fecondo del Presidente di allora, Ferruccio Panazza, alla disponibilità delle penne nere, provenienti anche dalle sezioni vicine e dalle truppe alpine e grazie anche all’aiuto degli enti e della comunità bresciani . Da quel giorno tanti ragazzi meno fortunati, nel nome del motto “Ricordare i Caduti aiutando i vivi” trascorrono giornate serene, circondati da affetto e premura.
Ma l’apporto dei bresciani al ricordo della tragica esperienza in terra di Russia continua anche quando il solito Panazza, probabilmente memore del determinante aiuto ricevuto dalle donne russe in occasione del suo ferimento nella notte di tregenda di Arnautowo, propone di realizzare anche in terra di Russia un’opera dedicata ai più deboli; inizia così l’”Operazione Sorriso” grazie alla quale a Rossosch, sulle rovine di quello che allora fu il quartier generale del Corpo d’Armata Alpino, sorge un asilo frequentato ora dai piccoli discendenti del nemico di allora.
Un’altra tappa fondamentale per la nostra sezione e per l’intera associazione è sicuramente il terremoto che nel 1976 colpisce il Friuli; subito dopo il terribile evento gli alpini dapprima in maniera spontanea e scoordinata, poi sempre più numerosi ed organizzati, accorrono ad aiutare i fratelli friulani; lo slancio è talmente generoso e disinteressato che gli stessi Stati Uniti, alla ricerca di un ente affidabile a cui consegnare le donazioni provenienti da oltre oceano, individuano nell’ANA il soggetto sicuramente più idoneo; la cosa ovviamente non va proprio giù’ a qualche rapace amministratore di casa nostra che già aveva pregustato lauti ricavi dall’operazione e da allora (potrebbe essere una coincidenza, ma non credo), inizia, nei confronti degli alpini una guerra sotterranea e infida, giunta fino ai nostri giorni, volta a rendere prima inoffensivi e poi ad annullare completamente questi scomodi concittadini, capaci, con le loro azioni, di far prudere qualche coscienza.
Comunque anche i bresciani fanno la loro parte, aiutati come sempre da tutta la comunità: esiste ancora infatti in quel di Buia, il villaggio Brescia quale evidente testimonianza di questo impegno.Da quel momento, ed in special modo in occasione delle due Adunate Nazionali tenute a Udine, il “mandi fradis” è divenuto l’intercalare universalmente più noto e caro agli alpini, quando si tratta di esprimere sentimenti di gratitudine e fratellanza; sentimenti che hanno pervaso la nostra città anche in occasione delle due adunate nazionali tenute all’ombra della Leonessa, nel 1970 e nel 2000. L’eco di quest’ultima poi, non si è ancora dissolta del tutto, testimoniando così che in quei giorni la nostra comunità ha vissuto momenti veramente straordinari e forse irripetibili.
I nostri giorni
Dall’esperienza del Friuli, trae le proprie origini la Protezione Civile, prima alpina e poi nazionale, che vede anche nella nostra sezione il sorgere di un nucleo snello ma efficace, che diversifica la propria attività nelle varie specializzazioni, quale i nuclei antincendio, il nucleo cinofili ed un variegato parco automezzi che dopo tanto peregrinare ha finalmente trovato alloggio nell’autorimessa sorta in questi anni a fianco della sede sezionale e che verrà presto inaugurata.
A proposito di sede, visto che anche gli alpini bresciani soffrono di quello che i veci chiamavano “ el mal dela preda” , dopo la casa di Irma e la scuola Nikolajewka sopra citate, un’altra tessera si è aggiunta da qualche anno al fantastico mosaico realizzato dalle Penne Nere bresciane: una magnifica sede sorta, non a caso, a fianco della Scuola Nikolajewka, dove trovano spazio le numerose attività che rendono vivace e frenetica (forse troppo, dice qualcuno) la nostra vita associativa:
La segreteria con la fureria e le commissioni ad essa collegate: organi indispensabili per il funzionamento ed il coordinamento di una realtà forte di 152 gruppi e quasi 14000 soci.
La Protezione Civile, che con i nuclei ed i mezzi sopra descritti è sempre pronta a rispondere a qualsiasi allertamento.
Il GSA che grazie ad un entusiasta nucleo di giovani organizza ogni anno una serie di eventi e manifestazionisportive che vedono ruotare ogni volta centinaia e centinaia di alpini, soprattutto giovani, favorendo così il loro inserimento, altrimenti difficoltoso e problematico nella realtà associativa;
la Fondazione di studi storico militari dell’ANA di Brescia, interfacciata con la Commissione culturale, recenti realtà volte a raccogliere, conservare, valorizzare e rendere fruibile l’immenso patrimonio culturale e morale del mondo alpino, cercando così di evitarne la dispersione. In questo contesto sta prendendo forma, dopo uno stentata gestazione, anche il sospirato museo.
La redazione di “Ocio ala Pena” il nostro piccolo ma simpatico organo di informazione, oggi in via di rinnovamento, potenziamento e valorizzazione;
Infine una accogliente taverna dove tra una riunione ed un consiglio tra una discussione ed una baruffa, i soci trovano il tempo di bere un buon bicchiere e magari intonare qualche strofa del nostro vastissimo repertorio musicale; eh già, perché una sede non è una sede se ogni tanto non vi riecheggiano le note di una fanfara o l’eco di una canta alpina ; e così da qualche anno a questa parte, anche noi possiamo vantare un Coro che abbiamo voluto chiamare significativamente “Alte Cime” e che è ormai divenuto familiare nell’ambiente bresciano, una realtà ben affiatata.
Ed infine la nostra magnifica Fanfara “Tridentina” , il cui nome è, come si può intuire denso di significati: si perché dovete sapere che la sua origine è l’ulteriore segnale dell’orgoglio, della determinazione e dell’intraprendenza della nostra gente; infatti qualche anno fa, quando dal Ministero della Difesa, accampando incredibili e ridicole ragioni di bilancio, vennero soppresse le fanfare delle brigate alpine, i nostri in pochi mesi crearono dal nulla questa magnifica realtà, battezzandola, provocatoriamente, con il nome di una delle fanfare soppresse, ma anche uno dei più cari ai bresciani; una attrezzata e spaziosa sala prove è stata così creata per agevolare le impegnative ed indispensabili prove di entrambe le formazioni, la cui presenza è ormai letteralmente disputata dai nostri gruppi, e da altre sezioni e la necessità di far sempre, come si suol dire “bella figura”, costringe i componenti ad un impegno veramente notevole.